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Palla di neve 

Di fronte a che cosa ci troviamo? Direi innanzi tutto ad un oggetto, non un manufatto nel senso tradizionale (objet trouvé o immagine-oggetto come se ne incontrano nell’arte novecentesca), ma un “prodotto” tecnologico generato con fili alimentari da una stampante in 3D, poggiato su una base nera (e viene in mente lo sgabello duchampiano che ironizza sugli antichi piedistalli delle sculture), coperto da una fotografia paesaggistica: la natura tradotta in dispositivo, come l’oggetto che rimanda ad una palla di neve, aggregato temporaneo di cristalli ghiacciati, soggetta a sciogliersi al primo raggio di sole, metafora del temporaneo e dell’instabile. Il manufatto è immerso in uno spazio limitato su un lato da una fotografia di un cielo e su un altro da un codice QR, leggibile attraverso un cellulare.

Artificio? Sicuramente, come d’altronde è da sempre l’arte. Realtà? Quella dell’odierna trasmissione interattiva, che sposta l’oggetto dal campo della funzione a quello della virtualità, quest’ultima intesa come risorsa possibile ed ulteriore, non inciampo, aperta a nuovi scenari percettivi. Per questo parlavo di “modalità”. Tecniche di costruzione oggettuali, media digitali ed elementi concettuali spianano la strada verso forme di comunicazione estetica vicine a quelle della quotidianità odierna e, per ciò, più facilmente approcciabili. Peraltro narrazioni che esulano dalle forme canoniche dell’arte e che implicano il coinvolgimento attivo del fruitore hanno ormai una lunga storia, almeno a partire dagli anni sessanta, a testimonianza del confronto che l’arte ha imparato ad istituire con i media più diversi, allo scopo, tra l’altro, di creare spazi relazionali. Nella dimensione globale in cui siamo immersi, le tecnologie sono – come sempre è stato, in fondo – un Giano bifronte, soggette alle modalità di utilizzo dei singoli, se mi si perdona l’ovvietà dell’assunto.


Il lavoro di Domenico va nella direzione di un uso costruttivo della tecnologia, coniugando tecnica e pensiero: il medium si fa latore di un concetto, recuperando la tradizione del concettualismo storico inverato nell’altro versante dell’arte novecentesca, quello oggettuale. La sintesi delle due tradizioni sfrutta le possibilità comunicative su larga scala, oltre i confini ristretti di un luogo fisico (lo spazio di una mostra) e di un tempo limitato (la sua durata). E, infine, l’attivazione partecipativa apre ad arricchimenti interpretativi, trasforma l’installazione in spazio di discussione. La risultanza è l’eliminazione delle barriere tra il mondo dell’arte e quello ordinario della vita: in una dimensione riflessiva anziché consumistica dell’operazione artistica.