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À rebour.

Cominciamo da una fiaba di Leonardo (da Vinci) che riassumo:

Un foglio di carta, che stava sopra una scrivania insieme ad altri fogli uguali a lui, si trovò un bel giorno tutto pieno di segni. Una penna, bagnata di nerissimo inchiostro, aveva tracciato su di lui moltissimi segni e parole. “Non potevi risparmiarmi questa umiliazione? - disse risentito all’inchiostro - Tu mi hai sporcato con il tuo nero d’inferno, mi hai rovinato per sempre”. “Aspetta. – gli rispose l’inchiostro – Io non ti ho sporcato, ma ti ho rivestito di simboli. Ora tu non sei più un foglio di carta, ma sei un messaggio. Tu custodisci il pensiero dell’uomo, sei diventato uno strumento prezioso”. Infatti, di lì a poco, qualcuno vide quei fogli sparsi e li radunò per buttarli nel fuoco. Ma si accorse del foglio insudiciato dall’inchiostro e, buttati via gli altri, rimise al suo posto quello che portava, ben visibile, il messaggio dell’intelligenza”.

Leonardo scrive le sue favole nel Rinascimento, quando il Moderno era ancora di là da venire; ma quella metafora ne è premonitrice, se è vero che il Novecento si apre con una serie di fatti artistici che individuano come primaria la questione del senso o valore dell’arte nei confronti di una realtà in profondo mutamento e tendente a fagocitare ogni dissenso culturale; e le avanguardie lo hanno fatto rispondendo, criticamente, con le loro “poetiche”; altre vennero elaborate alla svolta di metà secolo, quando ancora il Moderno può dirsi sostanziale.

La domanda è: dopo il Moderno esistono ancora “poetiche”, nel senso con cui abbiamo utilizzato fin qui il termine? L’impressione è che per il Postmoderno, caratterizzato da un pluralismo culturale sempre più accentuato, sia più corretto parlare di “modalità” che di poetiche: e forse siamo ancora su questa scia.

Trattasi di una constatazione, non di un giudizio.

Proprio l’esponenziale frantumazione delle modalità di produzione, circolazione, fruizione dell’arte – senza parlare del mercato – ha condizionato fortemente i legami con il passato prossimo (direi almeno dall’ultimo decennio del secolo scorso). Se a ciò si aggiungono la crescita abnorme e in continua nonché rapida trasformazione dei mezzi di comunicazione e il superamento di vecchi confinamenti geografici, ne risulta un quadro di complessità in cui è inutile cercare un telos identitario che possa assimilarsi al tradizionale concetto di poetica.


Pur a rischio di cadere nella trappola delle generalizzazioni, resta innegabile che, a fronte di tale quadro, risulta sempre più difficile fare un discorso unitario sullo statuto dell’arte odierna. Il che, tra l’altro, rende quanto mai arduo il compito dei futuri storici dell’arte.